In caso di risoluzione del contratto di pacchetto turistico a causa dell’emergenza Coronavirus il viaggiatore ha diritto alla restituzione in denaro di quanto versato. I Giudici della CGUE hanno escluso che gli Stati membri possano invocare difficoltà interne per giustificare la temporanea inosservanza degli obblighi previsti dal diritto dell’UE e, dunque, prevedere l’emissione di un voucher in luogo del rimborso integrale.
La pandemia da Covid-19 ha comportato in Italia e nel resto dei paesi europei la risoluzione di numerosi contratti di pacchetto turistico con conseguente incremento delle controversie tra viaggiatori e operatori del settore. Segnatamente, tali controversie hanno riguardato le modalità di rimborso delle somme versate dai consumatori a seguito della cancellazione dei voli e delle modifiche dei pacchetti turistici per la crisi sanitaria globale.
Sul tema, è recentemente intervenuta la sentenza dell’8 giugno 2023, pronunciata dalla seconda sezione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella causa C-407/21. La vicenda trae origine da una questione sollevata in Francia da due associazioni per la tutela degli interessi dei consumatori (UFC-Que Choisir e la CLCV) che hanno adito il Consiglio di Stato francese chiedendo l’annullamento di un’ordinanza che consente agli organizzatori di viaggi, in caso di risoluzione del contratto di pacchetto turistico dovuta a circostanze inevitabili e straordinarie, di emettere un voucher valido 18 mesi e, solo in caso di mancato utilizzo del buono nel periodo indicato, di ottenere il rimborso dei pagamenti effettuati dai consumatori.
Detta normativa, introdotta con lo scopo di tutelare gli operatori economici e la loro solvibilità, rappresenta una deroga all’art. 12 della Direttiva (UE) 2015/2302 (recepita in Italia con decreto legislativo n. 62/2018) che in caso di circostanze inevitabili e straordinarie prevede il diritto del viaggiatore al rimborso integrale dei pagamenti effettuati entro quattordici giorni dalla risoluzione del contratto di pacchetto turistico.
Misure analoghe a quelle francesi sono state adottate anche dagli altri governi europei, incluso quello italiano. In particolare, l’art. 88-bis del decreto legge n. 18/2020, convertito con modifiche dalla legge n. 27/2020 (Decreto Cura Italia), al fine di contenere gli effetti negativi dell’emergenza epidemiologica, ha introdotto la possibilità per l’organizzatore di emettere un voucher in luogo del rimborso in denaro, senza la necessità di alcuna forma di accettazione da parte del consumatore.
Il Consiglio di Stato francese ha rimesso la questione dinanzi alla CGUE, chiamata a fornire la corretta interpretazione della direttiva (UE) 2015/2023. Gli eurogiudici hanno affermato che «uno Stato membro non può addurre il timore di difficoltà interne per giustificare l’inosservanza degli obblighi discendenti dal diritto dell’Unione quando tale inosservanza non è conforme ai requisiti della forza maggiore». In altre parole, la Corte esclude che gli Stati membri possano invocare la forza maggiore «per esentare, quand’anche solo temporaneamente, gli organizzatori di pacchetti turistici dall’obbligo di rimborso previsto dall’articolo 12, paragrafi da 2 a 4, della direttiva 2015/2302», rimborso che deve intendersi “unicamente una restituzione di detti pagamenti sotto forma di una somma di denaro” in quanto “più idonea a contribuire alla tutela degli interessi [del consumatore] rispetto all’interpretazione secondo la quale sarebbe sufficiente che l’organizzatore interessato gli proponga un buono o un’altra forma di compenso differito”. La Corte, dunque, respinge le motivazioni del governo francese sostenendo che l’epidemia di Covid-19 rientra tra le “circostanze inevitabili e straordinarie” che giustificano un rimborso integrale, “in quanto evento che esula manifestamente da qualsiasi controllo e le cui conseguenze non avrebbero potuto essere evitate neppure adottando tutte le ragionevoli misure”.