Skip to content

‘A’

come Avvocato

Blog di aggiornamento giuridico

Semplice e chiaro

Curato da professionisti

‘A’

come Avvocato

Blog di notizie forensi

Analizzate da professionisti

Spiegate in modo chiaro.

CONVIVENZE DI FATTO: LA DISCIPLINA INTRODOTTA DALLA LEGGE CIRINNA’

La legge n. 76/2016 ha introdotto un regime organico del fenomeno della convivenza dandone per la prima volta una definizione nella quale viene valorizzato lo stabile legame affettivo che unisce due persone maggiorenni non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile. Oltre a disciplinare diritti ed obblighi dei conviventi, la Legge consente di regolare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune con la sottoscrizione di un contratto di convivenza.

Prima del 2016, l’istituto della convivenza non era sconosciuto al nostro ordinamento, essendo stato oggetto di un’articolata elaborazione giurisprudenziale e di plurimi interventi normativi, volti ad assicurare specifiche tutele ai conviventi. Si pensi, ad esempio, al diritto per le coppie conviventi di accedere alla procreazione medicalmente assistita (art. 5 legge 19 febbraio 2004, n. 40), al diritto del convivente dell’imputato in un processo penale di astenersi dal testimoniare (art 199 co. 3 lett. a) c.p.p.), al diritto di subentrare nel contratto di locazione intestato all’altro convivente in caso di morte di quest’ultimo (Corte Cost. n. 404/1988). Da tali interventi ne era scaturito un quadro frammentato e discontinuo.

L’obiettivo della riforma è stato quello di mettere ordine su tutta la normativa che, sino ad oggi, ha regolamentato i diritti delle coppie di fatto. La legge Cirinnà definisce come convivenza quella condizione di “due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile” (Art. 1 co. 36). Si tratta di un modello familiare che non richiede per la sua costituzione alcuna formalizzazione ma che trae origine da una condotta di vita degli interessati. 

Per l’accertamento della “stabile convivenza”, la normativa fa riferimento alla “dichiarazione anagrafica”. Dunque, i due conviventi dovranno presentare al Comune di residenza un’autocertificazione in carta libera, nella quale dichiarano di costituire una coppia di fatto e di coabitare nella stessa casa.

I diritti riconosciuti ai conviventi di fatto dalla legge n. 76/2016 sono i seguenti:

  • hanno gli stessi diritti spettanti al coniuge nei casi previsti dall’ordinamento penitenziario, ad es. diritto di visita in carcere;
  • in caso di malattia o di ricovero, i conviventi di fatto hanno diritto reciproco di visita, di assistenza nonché di accesso alle informazioni personali, secondo le regole di organizzazione delle strutture ospedaliere o di assistenza pubbliche, private o convenzionate, previste per i coniugi e i familiari;
  • ciascuno di loro può designare l’altro quale suo rappresentante con poteri pieni o limitati: a) in caso di malattia che comporta incapacità di intendere e di volere, per le decisioni in materia di salute; ovvero, b) in caso di morte, per quanto riguarda la donazione di organi, le modalità di trattamento del corpo e le celebrazioni funerarie;
  • in caso di morte del proprietario della casa di comune residenza, il convivente di fatto superstite ha diritto di continuare ad abitare nella stessa per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni e comunque non oltre i cinque anni. Ove nella stessa coabitino figli minori o figli disabili del convivente superstite, il medesimo ha diritto di continuare ad abitare nella casa di comune residenza per un periodo non inferiore a tre anni;
  • nei casi di morte del conduttore o di suo recesso dal contratto di locazione della casa di comune residenza, il convivente di fatto ha facoltà di succedergli nel contratto;
  • nel caso di cui l’appartenenza ad un nucleo familiare costituisca titolo o causa di preferenza nelle graduatorie per l’assegnazione di alloggi di edilizia popolare, di tale titolo o causa di preferenza possono godere, a parità di condizioni, i conviventi di fatto;
  • al convivente di fatto che presta stabilmente la propria opera all’interno dell’impresa dell’altro convivente spetta una partecipazione agli utili dell’impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, commisurata al lavoro prestato;
  • il convivente di fatto può essere nominato tutore, curatore o amministratore di sostegno, qualora l’altra parte sia dichiarata interdetta o inabilitata ai sensi delle norme vigenti ovvero ricorrano i presupposti di cui all’art. 404 c.c.;
  • in caso di decesso del convivente di fatto, derivante da fatto illecito di un terzo, nell’individuazione del danno risarcibile alla parte superstite si applicano i medesimi criteri individuati per il risarcimento del danno al coniuge superstite.

Assegnazione della casa familiare nella convivenza di fatto

Nell’ipotesi di interruzione della convivenza, l’assegnazione della casa familiare spetta al convivente di fatto collocatario dei figli minori o maggiorenni ma non economicamente autosufficienti, anche se non proprietario dell’immobile o conduttore in virtù di rapporto di locazione. La ratio è quella di assicurare alla prole “la conservazione dell’habitat domestico, da intendersi come il centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare” (Cass. civ., sez. I, 13 dicembre 2018, n. 32231).  Tale istituto determina, a carico della proprietà o del godimento dell’altro convivente, una compressione momentanea dei diritti di godimento o di proprietà del genitore non collocatario della prole che si protrae nel tempo fino al raggiungimento dell’indipendenza economica dei figli (Cass. civ., sez. I, 26 maggio 2004, n. 10102).

Quanto all’opponibilità ai terzi del provvedimento di assegnazione, essa è consentita solo in presenza della trascrizione del provvedimento de quo nei registri immobiliari. Tuttavia, qualora sussistano particolari condizioni, i Giudici di legittimità hanno dichiarato opponibile l’assegnazione anche nel caso in cui la stessa non sia stata trascritta ed il trasferimento immobiliare a favore di terzi sia avvenuto prima dell’assegnazione stessa. La questione è stata affrontata dalla Cassazione con la sentenza n. 17971 dell’11 settembre 2015. Nel caso di specie, dopo la cessazione della convivenza di fatto, i Giudici di merito assegnavano la casa familiare alla convivente, madre di due minori; tuttavia, la società immobiliare a cui l’altro convivente aveva venduto l’immobile, chiedeva la liberazione del bene, sulla base del fatto che questo era stato venduto alla predetta società prima dell’assegnazione e che detta assegnazione non era mai stata trascritta nei registri immobiliari. L’iter argomentativo dei Giudici di legittimità si sviluppa attraverso l’esame di due temi, collegati fra loro: la qualificazione del rapporto che lega il convivente all’immobile adibito a casa familiare e il diritto dei figli nati fuori dal matrimonio alla conservazione dell’habitat familiare. Sulla prima questione, la Corte parifica la posizione del convivente a quella di un detentore qualificato, che esercita sul bene un diritto personale di godimento assimilabile a quello del comodatario. Secondo un orientamento consolidato, la convivenza more uxoriodetermina, sulla casa di abitazione ove si svolge e si attua il programma di vita in comune, un potere di fatto basato su di un interesse proprio del convivente ben diverso da quello derivante da ragioni di mera ospitalità” […] Di talché, l’estromissione violenta o clandestina dall’unità abitativa, compiuta dal convivente proprietario in danno del convivente non proprietario, legittima quest’ultimo alla tutela possessoria, consentendogli di esperire l’azione di spoglio” (Cass. civ., SS.UU., sent, 7 settembre 2004, n. 13603; Cass. civ., sez. II, sent. 2 gennaio 2014, n. 7). Quanto alla posizione dei figli nati da conviventi rispetto all’immobile adibito a casa familiare, per i giudici occorre salvaguardare, in forza del principio di responsabilità genitoriale ex art. 30 Cost., il diritto dei figli minori alla conservazione dell’habitat familiare; l’assegnazione della casa familiare risponde all’esigenza di mantenimento dei figli, a prescindere dalla qualificazione del loro status. In sintesi, la Suprema Corte ritiene irrilevante che la vendita fosse anteriore al provvedimento di assegnazione, mentre rileva che sia la qualità di detentore qualificato, sia la destinazione dell’immobile a casa familiare fossero preesistenti al trasferimento immobiliare. Non solo, la società acquirente conosceva il vincolo di destinazione a casa familiare impresso all’immobile ed era consapevole del pregiudizio patrimoniale per il creditore, avendo anche partecipato al disegno volto a sottrarre l’immobile al patrimonio del debitore.

Il contratto di convivenza

Altra novità introdotta dalla legge Cirinnà è quella che consente ai conviventi di fatto di “disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune con la sottoscrizione di un contratto di convivenza”. Questo deve essere stipulato, a pena di nullità, in forma pubblica o di scrittura privata autenticata da un notaio o da un avvocato, i quali devono attestarne la conformità alle norme imperative e all’ordine pubblico. Il contratto deve poi essere iscritto all’anagrafe del comune di residenza dei conviventi ai fini dell’opponibilità ai terzi. Con il contratto di convivenza è possibile disciplinare:

  • il regime patrimoniale della convivenza;
  • gli obblighi di contribuzione alle esigenze della famiglia, anche in considerazione dell’attività lavorativa o domestica svolta dalle parti;
  • le modalità di amministrazione e gestione dei beni comuni;
  • le modalità di assistenza reciproca in caso di malattia o incapacità d’intendere e di volere (ad esempio: nomina del convivente come amministratore di sostegno o come fiduciario di disposizioni anticipate di trattamento ai sensi della legge n. 219/2017);
  • le conseguenze in caso di cessazione della convivenza al fine di prevenire possibili contrasti (contributo al mantenimento della parte debole, divisione dei beni comuni, rimborsi e restituzioni, ecc.)

Il contratto si risolve automaticamente in caso di morte di una delle parti, di matrimonio o unione civile tra i conviventi o tra uno di essi e una terza persona. Può, inoltre, essere risolto consensualmente o per recesso unilaterale, con le forme e pubblicità previste per la stipulazione. Nell’ipotesi di recesso unilaterale, la dichiarazione di recesso deve contenere anche il termine, non inferiore a novanta giorni, concesso al convivente per lasciare l’abitazione.

https://www.studiolegalepuce.it/aca/wp-content/uploads/2023/12/9-Cassazione-Civile-Sez.-I-11-settembre-2015-n.-17971.pdf